A. Moreschi et.al.: Scioperare nel Duemila. Le Officine ferroviarie di Bellinzona e la memoria operaia

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Titel
Scioperare nel Duemila. Le Officine ferroviarie di Bellinzona e la memoria operaia


Herausgeber
Moreschi, Alessandro; Pelli, Mattia; Rossi, Gabriele; Valsangiacomo, Nelly; Barcella, Paolo
Erschienen
Roma 2018: Donzelli Editore
Anzahl Seiten
166 p.
von
Pasquale Genasci

Cinque studiosi, a dieci anni dallo sciopero proclamato dalle maestranze delle Officine di Bellinzona nel momento in cui i vertici aziendali delle ferrovie si apprestavano a privatizzare e a smantellare la più grande realtà industriale del Ticino, riflettono su quello straordinario evento per il quale un intero «cantone [era] sceso improvvisamente in lotta» (p. 10) come ricorda nella sua introduzione Paolo Barcella, storico e ricercatore all’università di Bergamo. I materiali di quello sciopero furono subito recuperati e archiviati dalla Fondazione Pellegrini Canevascini, che ricevette il mandato dal Consiglio di Stato, e a cui si aggiunsero poi le testimonianze che la stessa Fondazione decise di raccogliere per conservare anche la memoria dei protagonisti di quegli avvenimenti. Ne è nato quindi un libro, pubblicato da Donzelli, per far conoscere al pubblico della vicina penisola una lotta di importanti dimensioni in un paese, la Svizzera, vista sovente alla luce di stereotipi non corrispondenti alla realtà, in cui non si sciopera. Una storia del presente dunque, ma analizzata con grande cura e inserita molto opportunamente sia in un processo storico che affonda le radici nell’Ottocento sia nel contesto ticinese e svizzero.

Nelly Valsangiacomo, docente di storia contemporanea all’Università di Losanna, mette al centro del suo testo lo sciopero, evidenziando, da un lato, la mancanza di memoria e, dall’altro, gli stereotipi ricorrenti. I miti della pace del lavoro, quindi della contrattazione e non della lotta, la percezione dello sciopero come strumento non svizzero e dunque illegittimo, non possono nascondere la realtà tratteggiata con grande efficacia dall’autrice. Dalla seconda metà dell’Ottocento si assiste ad un aumento degli scioperi (politici, di difesa delle condizioni di lavoro, rivendicativi) che, nelle epoche successive, sono più o meno numerosi. Nel secondo dopoguerra, ad esempio, un’ondata di scioperi si scatena malgrado la pace del lavoro, sottoscritta negli anni Trenta. Il consolidamento dei sindacati come partner sociali implica il ricorso a una linea conciliativa. Scioperi selvaggi sono poi sostenuti dalla nuova sinistra negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, al cui centro vi sono «spesso le pessime condizioni di lavoro delle operaie e degli operai stranieri» (p. 28). Altri scioperi sono proclamati negli ultimi decenni del XX secolo, sia per le delocalizzazioni e i licenziamenti. Il settore dell’edilizia fa spesso ricorso a questo strumento, anche in tempi più recenti, a dimostrazione che il diritto di sciopero, iscritto per la prima volta nella costituzione federale del 1999, e il suo uso, fanno parte integrante della storia della Confederazione elvetica.

Nel suo sintetico, ma denso contributo, Gabriele Rossi – storico e archivista della Fondazione Pellegrini Canevascini – traccia la storia delle Officine: sorte a Bellinzona grazie ai punti di forza storici e geografici che presenta la città, ne legge il percorso mettendo al centro gli operai che lavorano nello stabilimento. Il radicamento nel territorio si consolida con il passaggio alla Confederazione e, superati gli anni difficili delle guerre e della crisi economica, conoscono il grande boom economico dei “trenta gloriosi” (costruzione dell’officina di riparazione dei carri a Biasca, piena occupazione e miglioramento delle condizioni di lavoro grazie alla prassi della concertazione datore di lavorosindacati, ecc.).

Con la crisi degli anni Settanta, con il trionfo del liberismo e delle ristrutturazioni dei decenni successivi i tempi cambiano «ma non necessariamente in meglio». I vertici aziendali fanno scelte che stravolgono vieppiù il sistema ferroviario; parallelamente cresce il disagio tra le maestranze. Sono i prodromi ancora lontani, ma chiari, di uno smantellamento dello stabilimento e della reazione forte e decisa degli operai che dichiarano lo sciopero e dietro ai quali si mobilita un intero cantone. Rossi giunge, con il suo contributo, fino all’attualità più recente: lo spostamento delle officine a Castione, il suo ridimensionamento in termini di posti di lavoro, i costi, ecc.: tutti aspetti di un dibattito particolarmente acceso in questi mesi tra i sostenitori della futura e più moderna struttura d’Europa e i contrari che ne sottolineano soprattutto gli aspetti negativi e le incognite.

Come specifica il sottotitolo del libro, una parte importante è dedicata alla «memoria operaia». Sono infatti particolarmente interessanti le fonti orali raccolte. Alessandro Moreschi, insegnante e storico, e Mattia Pelli, storico e giornalista presso la RSI, spiegano che si trattava di registrare la «voce narrante dei protagonisti e delle protagoniste», nonché di cogliere «la profondità, le sfumature e le percezioni soggettive della vicenda» (p. 71). Sono così state raccolte le testimonianze di 71 persone, un «campione piuttosto diversificato». Si è cercato cioè di dar voce a operai dei diversi settori delle officine (anche se precari e apprendisti appaiono sottorappresentati), membri del comitato di sciopero, sindacalisti ed esterni alla fabbrica.

Le interviste comprendono tre momenti: il percorso biografico e professionale degli intervistati prima dello sciopero, con particolare riferimento a come hanno vissuto il lavoro in fabbrica e le sue trasformazioni con i processi di ristrutturazione avvenuti a partire dagli anni Novanta (contratti privatistici, lavoro interinale, intensità del lavoro, esternalizzazione di alcune produzioni, ecc.). In questa fase si è indagato pure il rapporto con le organizzazioni sindacali e il gruppo di operai più politicizzati e consapevoli, che ha poi avuto un ruolo importante nella direzione dello sciopero. Il secondo momento è rappresentato dalla narrazione della cacciata dei dirigenti delle FFS e dei giorni dello sciopero vero e proprio: i sentimenti provati, le relazioni con i colleghi e in famiglia, le attività in quelle settimane (assemblee, picchetti di guardia, gestione dei rapporti con il pubblico e i media, ecc.). Infine l’analisi del dopo sciopero, in cui è stato possibile «ricostruire la portata dei cambiamenti innescati dall’esperienza soggettiva» (p. 83). L’esperienza ha insegnato molto agli operai, ma poi il ritorno al lavoro per alcuni ha rappresentato un «sollievo», mentre per altri è stato «fonte di tensione » (p. 84).

Il corposo quarto contributo riporta ampi stralci delle interviste ed è intitolato Il racconto di un cantone in sciopero (Paolo Barcella e Nelly Valsangiacomo). Introdotti in modo da inquadrarne i vari temi, gli stralci dei racconti sono riportati fedelmente e sono quindi testimoni diretti della forma orale. Le trasformazioni e la divisione dell’azienda in servizio trasporto merci e servizio trasporti viaggiatori, che ha fragilizzato il primo, le strategie sindacali messe in atto, il ruolo particolarmente attivo del Comitato di sciopero che si è posto alla testa del movimento «come voce credibile e autorevole che non temeva di perdere lottando, perché convinto che la sconfitta sarebbe maturata comunque nella resa», sono al centro delle riflessioni dei protagonisti. Con la comunicazione dello smantellamento progressivo delle officine si entra nelle testimonianze che rivivono le emozioni più forti, i momenti di duro contrasto con i vertici delle ferrovie, ma anche il lato più umano delle difficoltà tra gli stessi operai (i punti di vista diversi, i litigi, le indecisioni, ecc.). Dello sciopero si ricordano ad esempio le svariate forme della mobilitazione massiccia, il ruolo della stampa nonché la capacità di gestione della comunicazione e del coinvolgimento di un intero cantone da parte operaia o il ruolo e la visibilità del gruppo donne. Un capitolo importante è il rapporto con la politica le istituzioni. Tutti i partiti, da destra a sinistra, sostengono lo sciopero: poi però, nei momenti di grande difficoltà, molti «cominciano a saltar giù dal carro» e, verso la fine dello sciopero, «un po’ tutti i politici si sono un po’ defilati» (p. 140).

Con Berna i rapporti sono improntati alla «diffidenza», memori del progressivo ridimensionamento dei posti di lavoro federali a partire già dagli anni Ottanta e quindi l’imporsi di un discorso identitario per cui «l’Officina diventava anche il simbolo di una regione da difendere» (p. 141). Anche la fine di tutto questo crea una situazione nuova di non facile gestione, in attesa delle soluzioni arrivate dopo mesi e anni di discussioni e proposte.

Il libro presenta quindi una ricchezza di memorie di cui non si può che dare un pallido riscontro in questa sede, e che meritano una lettura diretta e, in futuro, ulteriori approfondimenti partendo dalle interviste complete conservate negli archivi. Al libro infine è allegato il dvd Giù le mani, documentario di Danilo Catti, premiato al festival del cinema di Locarno nel 2008, seguito da un secondo documentario realizzato nel 2011. Illuminante è l’intervista al regista, che ci restituisce il suo modo di lavorare che definisce «cinema del reale», cioè «il racconto della realtà in presa diretta» (p. 158), e le difficoltà, perché «si trattava in ogni istante di scegliere dove essere» (p. 160), ma soprattutto la grande ricchezza dell’esperienza che, ottenuta la fiducia degli operai e del comitato di sciopero, gli ha consentito di trovarsi «completamente… in simbiosi» con loro (p. 162). E tutto questo sorretto da una forte tensione etica, affinché la forma privilegiata da Catti da ormai molti anni, il documentario appunto, sia «un atto di cittadinanza » (p. 165).

Zitierweise:
Genasci, Pasquale: Rezension zu: Moreschi, Alessandro; Pelli, Mattia; Rossi, Gabriele; Valsangiacomo, Nelly; Barcella, Paolo: Scioperare nel Duemila. Le Officine ferroviarie di Bellinzona e la memoria operaia, Roma 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 160-162.

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Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 160-162.

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